Sentenza n. 402 del 1991

 

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SENTENZA N. 402

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1990 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Piera Filippi e Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 207 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di costituzione di Piera Filippi e della Cassa Nazionale Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori;

Udito nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 1991 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

Uditi gli avvocati Piera Filippi e Lorenzo Acquarone per la parte privata e Claudio Berliri per la Cassa Nazionale Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori;

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 10 dicembre 1990 il Pretore di Bologna, nel corso di un giudizio tra l'avv. Piera Filippi e la Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Avvocati e Procuratori - avente ad oggetto la ripetizione del contributo del 2% corrisposto sui compensi per attività diverse da quella professionale forense - ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge 20 settembre 1980 n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense).

L'ordinanza - premesso che la disposizione predetta sottopone ad un contributo di natura mutualistica "tutti i corrispettivi" percepibili dagli avvocati, che rientrino comunque "nel volume d'affari ai fini dell'IVA", contributo per il quale è prevista la traslazione al debitore del corrispettivo - osserva che la questione appare non manifestamente infondata, sotto un duplice profilo. Si può mettere in dubbio, infatti, la ragionevolezza della norma con il richiamo ai principi costituzionali sulle prestazioni patrimoniali e previdenziali dei cittadini e delle categorie professionali, giacché il contributo mutualistico grava, indipendentemente dalla natura professionale anche in senso ampio della prestazione.

Sotto un secondo profilo, poi, non razionale né giustificabile appare la disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti. Con atto depositato il 22 aprile 1991 si è costituito, nell'interesse della prof. avv. Piera Filippi, l'avv. Roberto De Santis.

Premette la memoria che, secondo il Pretore di Bologna, il testo della norma ora citata non dà luogo a dubbi interpretativi nel senso che essa impone di assoggettare a maggiorazione tutti i corrispettivi percepiti da un avvocato o procuratore ancorché estranei all'esercizio della professione forense.

Per l'ipotesi che il giudice remittente abbia ragione e che altra diversa interpretazione non sia possibile (che in tale ipotesi gli interessi della parte sarebbero tutelati anche da sentenza interpretativa di rigetto) non sembra dubbio che la sollevata questione di costituzionalità sia fondata.

Con atto depositato sotto la stessa data si è costituita la Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli Avvocati e Procuratori, rappresentata dall'avv.to Claudio Berliri, sostenendo la legittimità del contributo imposto poiché la norma ha inteso far dispiegare automatica efficacia, evitandosi così ogni contenzioso, all'imponibile agli effetti dell'IVA.

Si rileva, altresì, che la maggior parte delle leggi previdenziali emanate successivamente al 1980 sono del tutto conformi a quella forense.

In prossimità dell'udienza è stata presentata memoria della difesa della signora Filippi, insistendosi per la declaratoria di illegittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 11, primo comma della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense) pone a carico degli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza un contributo integrativo (oltre cioè al contributo soggettivo obbligatorio) costituito da una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel "volume annuale d'affari ai fini dell'IVA".

Il Pretore remittente dubita, ex art. 3 della Costituzione, della legittimità di tale prelievo, sia per asserita disparità di trattamento con la normazione concernente gli iscritti ad altre e diverse Casse di previdenza, sia - più in generale - per irrazionalità del contributo ricomprendente, per la dizione della norma, prestazioni più ampie rispetto a quelle propriamente professionali.

2. - La questione, nei termini di cui in appresso, non è fondata.

Non sussiste disparità di trattamento censurabile ex art. 3 della Costituzione: infatti, il sistema previdenziale in discorso è specificamente caratterizzato in punto, come la difesa della Cassa ha posto in luce, da "elementi di assoluta analogia per non dire di totale coincidenza" con altri organismi previdenziali (cfr. normative sui geometri, sui dottori commercialisti, sugli ingegneri e architetti).

Ciò a prescindere dalle considerazioni di principio più volte ribadite da questa Corte e secondo cui ogni sistema previdenziale presenta caratteri di autonomia e le rispettive soluzioni sono da riportare ad accertamento di presupposti, a determinazione di fini, a valutazioni di congruità dei mezzi non estensibili fuori dello specifico sistema proprio (cfr. sentenza n. 133 del 1984).

Vanno, tuttavia, considerate le preoccupazioni del remittente circa una generica irrazionalità di fondo, insita in una normativa - quella in esame - in forza della quale resterebbe assoggettato al contributo integrativo a favore della Cassa forense qualsiasi corrispettivo rientrante nel volume d'affari realizzato, per i fini dell'IVA, da ciascun professionista.

Invero, ad una tale tesi restrittiva ha aderito la Cassa di previdenza interessata che basandosi sugli elementi letterali della norma in discussione ha dedotto, nell'interesse della Cassa stessa percipiente del contributo, che non sarebbe possibile procedere a discriminazione tra i vari compensi "quale che ne sia la genesi".

A ciò osterebbe, infatti, la dizione della norma riferentesi semplicemente e letteralmente al "volume d'affari" (cfr. delibera Cassa n. 311).

Va rilevato, tuttavia, come il parametro scelto dal legislatore per individuare l'ammontare, a carico di ogni singolo professionista, del contributo da versare e cioè il volume d'affari ai fini dell'IVA va riferito e collegato, alla luce proprio delle disposizioni mutuate, e come in appresso si dirà, all'esercizio professionale. E questo non può che essere costituito dalla attività forense, dovendosi escludere senz'altro, come già la magistratura di merito ha avuto modo di precisare, quelle altre attività che, pur non essendo incompatibili, non hanno nulla in comune con l'esercizio della professione legale.

Non è a sottacersi, peraltro, che quest'ultima è andata assumendo, nel contesto sociale delle esigenze che abitualmente vi si riconnettono, connotazioni più ampie nel quadro del "patrocinio" previsto dal codice di procedura civile.

In altri termini, l'attività in esame, tenuto anche conto di specializzazioni che nel tessuto odierno sono sempre più avvertite e si concretizzano, vieppiù si espande a molteplici campi di assistenza contigui, per ragioni di affinità, al patrocinio professionale in senso stretto.

Pur sempre, tuttavia, deve trattarsi, onde rientrare nella sfera delle contribuzioni previdenziali in parola, di prestazioni riconducibili, per loro intrinseca connessione, ai contenuti dell'esercizio forense.

La norma in esame non risulta così confliggere con il parametro invocato (art. 3 Cost.) per una sua presunta irrazionalità e la questione va, dunque, dichiarata infondata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, compete ovviamente al giudice investito della causa verificare in concreto, sulla scorta degli enunciati criteri, la legittimità della singola posta di credito vantata dall'ente di previdenza nei confronti del professionista.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 12 novembre 1991.